indian-diasporaLa Diaspora Indiana racconta sé stessa: dinamiche identitarie nel romanzo storico Indo-Anglian con particolare riferimento alla Trilogia dell’Ibis di Amitav Ghosh

Come DNA impone, mi occupo dello studio delle identità miste. Il punto di vista è quello cross-culturale, ma preferibilmente meditato attraverso le forme d’arte allogene rispetto ad una cultura. La mia tesi di dottorato, ad esempio, offre una lettura della ricostruzione dell’identità indiana attraverso il romanzo postmoderno Neovittoriano, e in essa mi occupo segnatamente di Amitav Ghosh, la cui opera della vita è una saga ambientata tra India, Cina e Mauritius, e ha come tema l’eradicazione dal luogo di origine e la costituzione di realtà meticce, il tutto sotto l’ombra del Capitalismo moderno.

All’ingresso dell’India nell’agone internazionale come Stato indipendente, essa è proiettata nel mondo postmoderno ancora con un’intelaiatura consolidata, fondata sullo stretto legame con il territorio (Mother India).  Il fulcro su cui poggia la leva del cambiamento di percezione dopo a partire dagli anni novanta del XX secolo è di natura geoeconomica, ed è ben metonimizzato  dalla Diaspora indiana, articolata in due separati momenti (Sugar e Masala). In questa ottica, l’India Nehruviana costituisce un “Interludio”, in quanto Nehru, nel costruire la nazione, concentra gli sforzi di costruzione identitaria all’interno, trascurando gli indiani residenti all’estero, invitati  ad essere “buoni cittadini dei paesi ospitanti”. Dopo l’ingresso dell’India nel sistema monetario internazionale costruito dopo la dissoluzione dell’impero sovietico, e la conseguente redistribuzione dei poteri, la Diaspora diverrà uno strumento di Soft Power per la politica di potenza indiana, con l’istituzione di PIO, NRI ecc.

La società indiana, dunque, ha ridisegnato radicalmente la propria percezione, passando da un modello economico d’ispirazione socialista e industriale pesante a quello liberista e delocalizzato della società dell’informazione.

Ho esaminato a lungo – a titolo esemplificativo – il ruolo dello scrittore Indo-Anglian e Neo-Vittoriano Amitav Ghosh nel riposizionamento dell’’identità collettiva indiana nel quadro dei nuovi assetti economici e geopolitici maturati nella postmodernità. Attraverso la riscrittura fictional delle vicissitudini di un gruppo di indiani trapiantati dall’India alle Mauritius, Ghosh offre uno spaccato – ben documentato e abilmente scritto – della realtà di eradicamento e dislocazione che è alla base della prima diaspora indiana, con un primo effetto di rimodulare l’identità indiana abroad, e un secondo effetto particolarmente interessante, di offrire una lettura storica alternativa a quella Eurocentrica attraverso la messa in scena delle implicazioni che il Capitalismo moderno ha avuto nella trasformazione delle società asiatiche. Ghosh ambienta la sua opera della vita durante la massima fioritura del modello Identured, raccontando la subalternità degli indiani agli occidentali (e – soprattutto – al Capitale) attraverso la politica economica e militare dettata dall’Oppio. Descrive la sovrapposizione e lo scontro tra modelli egemonici (attraverso la dialettica tra Burnham e Neel), e l’adattamento delle classi egemoni alle nuove esigenze (la trasformazione di Neel, divenuto Munshi di Baharam, con l’interessante focalizzazione dell’attribuzione di valore alla cultura); il processo di eradicazione e di reinstallazione culturale (la nascita della Fami nelle Mauritius); la resistenza interiore al cambiamento mediante l’apparente accettazione di esso (il personaggio del Gomusta Pander Nob Kissin, che offre una visione molto centrata della particolare “antropofagia selettiva” indiana nei confronti delle novità: il gomusta costruisce un’identità esteriore prona al nuovo potere con l’unico scopo di costruire un tempio alla Zia santa: metafora sociale “scalabile”?)

  • Che tipo di identità viene sdoganata, e nell’interesse di chi? (Passaggio da Anglo-Indian a Indo-Anglian; mutamento di equilibri tra India e Occidente, che viaggia di pari passo con l’inversione di polarità nella relazione tra Inglese e Idiomi Locali
    [Vedi utilizzo del vernacolo nei grandi scrittori Angloindiani, la sua quasi assenza in Mahomet e nei protoromanzi indiani in lingua inglese; confrontare con la Rushdie Generation e porre l’accento sul cambio di atteggiamento tra quello che vede  gli indiani che scimmiottano gli inglesi e quello che vede l’inglese mediato e distorto alla vernacolo nelle opere della letteratura indoanglian]; la Questione Linguistica in India come visione socio-culturale antropofaga, anche se la rigidità del modello gerarchico casuale possa far pensare ad uno schema antropoemico; Quindi acquisisce di senso una visione dell’Indianità esposta a contaminazione e ad essa ben disposta. [Lingua—Religione-Filosofia]);
  • Perché il romanziere, e perché in lingua inglese?
  • Il ruolo di Ghosh nella rinegoziazione identitaria:
    • Chi è interessato?
    • Qual’è la readership di Amitav Ghosh?
    • In che misura la Diaspora indiana concorre alla rinegoziazione identitaria, e perché?

Il contributo che vorrei dare al già fin troppo fiorente dibattito sulla costituzione delle identità ha una chiave di lettura di matrice marxista, nel senso che mai come ora – in ambito di pensiero unico – i concetti di struttura e sovrastruttura sono di stretta attualità.

Mi sono focalizzato sulla forma romanzo degli scrittori Indo-Anglian perché essa rappresenta bene l’incrocio culturale che caratterizza la contemporaneità fluida. Il romanzo è un’arte piuttosto giovane – XVIII secolo – ed è una vera e propria invenzione occidentale che ha rivoluzionato la trasmissione culturale. Il romanzo raccoglie ed amplia il lascito dell’invenzione della stampa, e dona un nuovo senso all’alfabetizzazione. La sua fruizione è completamente privata, slegata da qualsiasi forma di liturgia collettiva (religiosa, epica o teatrale che sia)  ed è una novità assoluta. Il fatto che i protoromanzi abbiano poi sempre un contesto esotico (il Robinson ne è un esempio lampante) non è solo una curiosa coincidenza; da un lato è indice del legame intimo che vincola il processo che Bauman chiama di Individualizzazione  con la definizione identitaria;  dall’altro illumina il ruolo del capitalismo nella frammentazione delle nostre società. Con l’allargamento degli orizzonti geografici, si impone il modello dell’Homo Œconomicus: il progetto, centrato e argomentato sui temi dell’umanesimo illuminista, vede da un lato l’autoaffermazione mediante il confronto con un’alterità molto spesso creata a tavolino con l’unico scopo di legittimare l’egemonia culturale occidentale (si vedano nel merito le argomentazioni di Edward Said). Parallelamente, l’affermazione – non di rado violenta – del modello capitalista (mascherato spesso da modello religioso monoteista), offre la sponda per legittimare occupazioni coloniali, spacciate come “civilizzazione” (un po’ come la propaganda della “esportazione di democrazia” molto in voga sin dalla prima Guerra del Golfo del 1991, se mi si permette un paragone piuttosto ardito).

La fortuna che il linguaggio del romanzo ha avuto in India sin dai suoi esordi, da molti paragonata a quella del linguaggio giornalistico, anch’esso importato dall’Occidente, è meritevole di attenzione. Sulla permeabilità del tessuto sociale indiano alle logiche del mercato non ci sono dubbi; i contatti con l’occidente, culturali e artistici, hanno sempre avuto un vettore economico, e ne è riprova l’esistenza di rapporti commerciali consolidati e documentati sin dall’epoca della classicità. Le storie dell’India e dell’Occidente sembrano conoscere una cesura a partire dall’alto medioevo (con l’infestazione delle vie carovaniere da parte dei nomadi asiatici), fino all’età delle grandi esplorazioni.

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