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Ho spesso pensato che il ricorso all’autorità come strategia di difesa sia un marcatore della nostra futura estinzione. Alla loro invenzione, i social network furono salutati come il veicolo dello slancio evolutivo più forte che l’umanità avesse mai conosciuto. Il web 2.0 promise la costruzione di una coscienza nuova, più di quanto non fosse mai stata nell’epoca delle strutture sociali solide. Non è passato tanto tempo, anzi; non si è nemmeno entrati nella prospettiva storica, visto che chi ha quarant’anni è nato in un mondo ed è maturato in una realtà mutevole come non mai. Per dire, io sono passato dal Commodore 64 all’iPad. Dai pennarelli per darsi appuntamenti davanti a scuola (scrivendo sul solito cartellone pubblicitario) a WhatsApp. dalle lettere imbevute di Brüt 33 per la ragazzina di cui ero innamorato alle email con i gattini.
Sì, lo so. È un discorso banale, trito e ritrito, fatto un miliardo di volte. E poi non volevo nemmeno parlare di questo. In realtà, quello che mi premeva sottolineare è che questa relazionalità digitale ha partorito dei mostri che nemmeno Sergio Stivaletti, o Carlo Rambaldi. Si chiamano Salvini e relativa pletora. Lo schema è chiaro: proporre ragionamenti lineari, privi di qualsiasi principio di realtà (in malafede, perché se stai in parlamento – europeo o nazionale che sia, importa poco – sai bene che da un punto di vista tecnico, l’esercizio del potere è affare burocratizzato), e raccontare alla massa gelatinosa di teledipendenti che il problema dei Rom lo si risolve con le ruspe, quello dell’immigrazione bombardando i barconi, quello del lavoro mandando a casa gente che sta qui da vent’anni onestamente ecc. ecc.
Un sistema di menzogna sistematica, che si replica come un multilevel marketing, e che attrae tantissime comparse con sogni segreti di protagonismo. Ecco che spuntano come funghi video di signore siciliane incazzate nere, post con foto di Hitler e fumetto che recita “stavolta andiamoci cattivi”, e infine commenti come quello di quel signor nessuno, che sulla bacheca di Salvini dice che i giornali stanno dicendo che il violentatore della tassista di Roma, fatto orrendo, sia “marocchino” e non “romano” – come sembra essere dalle indagini della polizia. Ora, i giornali, si sa, vanno presi con le molle. Le verifiche delle notizie sono diventate una barzelletta da quando esiste Wikipedia, e spesso i supporting statements che giovani cronisti in erba portano a difesa delle proprie argomentazioni sono le proverbiali toppe peggiori dei buchi. Però, c’è un limite. Va bene il relativismo, va bene che da Berlusconi in poi tutti quelli che comandano in questo paese hanno sdoganato la balla sesquipedale come collettore di consenso. Ma Santo Iddìo, negare l’evidenza è sintomo di una patologia troppo pericolosa per lasciare correre. Piegare la realtà sulle proprie aspirazioni significa che non c’è più un punto oggettivo su cui articolare un ragionamento, che quello che oggi è buono, domani sarà cattivo. Il giusto può diventare sbagliato nel volgere di troppo poco tempo. Allora, mi chiedo, quale società ha la struttura per definirsi in un un mondo senza certezze, magari posticce, ma sempre certezze? E poi, subito dopo, i gattini per Salvini, centro di una discussione appassionata su twitter tutto ieri, sono solo io a trovarle inquietanti? Dove.cazzo.stiamo.andando?