corchianoCom’è noto ai cinque lettori affezionati della mia stitica produzione letteraria e saggistica, la mia natura anfibia ha sempre fatto sì che io non mi fossi mai sentito pienamente a casa mia in nessun posto.
Un indiano a Roma, un italiano in India, un Italo-Indiano in Repubblica Ceca, un romano a Corchiano.
Corchiano?

Nell`estate del 1978, l`intera famiglia Mishra fu tradotta da mia madre su una Ford Capri in uno sconosciuto paese in provincia di Viterbo. Mio padre ignorava completamente le manovre che avevano portato la moglie ad acquistare, per la cifra di un milione e mezzo di lire, una piccionaia in un borgo di tufo. Quali fossero stati i giri che ci portarono lì, nessuno lo sa di preciso. Ci sono molte zone di chiaroscuro nelle memorie della mia famiglia, aiutano a dare una specie di profondità magica ai ricordi.
Di certo c`entrava un cugino, perso di vista, che viveva a Civita Castellana, noto soprattutto per essere stato autore dei murales fuori dall`istituto d`arte di quella cittadina a metà degli anni settanta.
Avevamo, da famiglia, l`abitudine di cantare in macchina. Il primo stereo su quattro ruote sarebbe arrivato infatti in casa Mishra solo nel 1998, con la mia Ka. Molto frequentati erano Sergio Endrigo ed Edoardo Bennato. Ricordo perfettamente il momento in cui, scendendo da Borgo Umberto (allora doppio senso), le note ci morirono in gola. Vedere anziani col cappello che si sporgevano fin dentro la macchina come se vedessero degli alieni, ragazzini zozzi luridi che ruzzavano come pollastri per i vicoli bui e umidi (c`era ancora la Rocca, buttata giù pochi anni dopo), donne a lutto da tempo immemorabile che andavano a
cuocere delle torte al forno del paese, persone che dormivano con il vaso da notte, rifuggendo la novità del WC, fu uno shock culturale enorme, data l`estrazione cittadina e borghese da cui noi tutti provenivamo.

In realtà, mio padre capì la situazione prima e meglio di noi, riconoscendo alcuni meccanismi da villaggio indiano, e inserendosi con grande maestria nelle dinamiche sociali del paese. I pochi anziani ancora in vita che lo hanno conosciuto, ricorderanno bene la sua figura sulle sediacce del circolo di piazza IV Novembre, occhiali calati sul naso, intento a leggere il suo adorato Ken Follett in inglese.
Mia sorella patì molto lo shock di cui sopra, almeno in una fase iniziale: nonostante i suoi tredici anni era una ragazza molto carina, e le attenzioni ruspanti cui era esposta la mettevano a disagio. Avrebbe superato brillantemente la cosa pochi anni dopo, fidanzandosi a casa (per anni) con un autoctono, esperienza che a me – innamorato del paese più di qualsiasi altro membro della famiglia – è stata
preclusa.

Mia mamma rischiò l`infarto quando, aperta la finestra sul vallone, realizzò la presenza di una discarica abusiva sotto le nostre finestre.

Io fui corcato di botte appena arrivato, ma riuscii a salvare un gattino che dei bambini stavano affogando nella fontana dei Farnese, gattino che, fattosi gattone, sarebbe rimasto con noi per sedici anni.

Eppure.

Eppure non potrei immaginare la mia vita senza quell`incontro fortuito, in cui imparammo a relazionarci con un mondo diverso, antico, duro fino alla violenza e – soprattutto – privo di quei codici alienanti tanto odiati da Pasolini.

Per me Corchiano voleva dire libertà, gioco, odori forti e passatempi impensabili in città: le
mazzefionde a grappetta, vere e proprie opere d`arte a base di fil di ferro e materiali di risulta; biciclette riciclate dai rottami della buonanima di Scortichini; i bagni al Fratta (vietatissimi dai miei, ma io ci andavo ugualmente); i panini presi nella bottega di Luigina; e poi le scampagnate alla Faggeta a Soriano, al lago di Vico quando ancora ci si poteva fare il bagno, le gite nei paesi limitrofi. Non mi sono mai annoiato, al paese. Qui ho alcuni degli amici più vecchi che ho, mentre altri si sono andati via via aggiungendo nelle diverse fasi della mia crescita. E mentre crescevo, Corchiano si evolveva. La bellezza cominciava a venire compresa. Il lavoro infantile si fece prima terza media, poi liceo, infine università. La dabbenaggine si fece consapevolezza. I pesticidi diventarono agricoltura biologica.

Quanta strada, in questi trentotto anni. Dalla discarica abusiva al parco delle Forre, dal paese rimosso dalla memoria collettiva al recupero delle vecchie cantine da parte di locali o di foreshti tipo Tamara, che ha creato dei veri capolavori, o mia madre, che ha reso una piccionaia una casa di una bellezza e un`intimità uniche.

Le cose, però, non accadono per fortuna o per caso. C`è stata una regia precisa, dietro alla trasmutazione di questa realtà. Un`idea, quella di pratiche comuni, di responsabilità assunte e condivise, di sacrifici e di scommesse (molte delle quali vinte). Corchiano oggi non ha niente a che vedere con il paese che mi folgorò nel 1978. Le distanze si sono azzerate, quando non invertite. È la periferia che si fa centro, la rivincita dei ritmi naturali su quelli dopati del capitalismo estremo. Certo, non tutto mi piace: da un lato, si è persa quella distanza tra dimensioni che era la mia piccola, segreta ricchezza. Oggi i ragazzini vivono una vita molto più simile ai loro coetanei di Prati o del Salario, con gli smartphones, le Playstation e le partite su Sky; questo è un aspetto che non riesco a digerire, visto che avrei preferito che fosse Roma ad avvicinarsi a Corchiano, per recuperare quell`innocenza neorealista che ha perso negli anni sessanta, e non il contrario. Ma è un punto di vista personale, non scevro da un egoismo antipatico, da intelletuale ottocentesco all`epoca del Grand Tour.

Oggi è la città che insegue, diciamocelo. Perché quello che è successo, negli ultimi trent`anni, è semplice: le metropoli hanno esaurito la loro propulsione, e ora si trovano a gestire inquinamento e problemi di messa a fuoco sul proprio futuro, spolpate da interessi che non riescono a ragionare su  obbiettivi coerenti. Le campagne, invece, non hanno perso il contatto con i cicli del tempo. Perché il  contadino sa che ogni cosa vuole il suo tempo, e non è cascato nell`inganno di chi oggi ti depreda  promettendoti il domani.

Mi sono lasciato andare a queste considerazioni, perché Corchiano va al voto. Ho pensato molto se la cosa mi riguardasse oppure no; io voto a Roma, e non ho mai partecipato attivamente alla vita politica del paese, anche se l’ho sempre osservata con grande interesse e considerazione. Il fatto è che nella mia fantasia, vorrei finire qui la mia vita terrena, in una sorta di buen ritiro la cui scelta sarebbe difficile da spiegare a chi non mi conosce. Anche qui in Repubblica Ceca dove vivo e lavoro, e mi sono reso conto che spesso – involontariamente – mi trovo a usare il noi mentre descrivo la vita corchianese, con i suoi personaggi e aneddoti ben noti a chi ci vive. Quindi, sì, le votazioni mi riguardano, e molto. Pur non potendo esercitare la mia preferenza, posso dire senza tema di smentita che essa premierebbe la continuità di un progetto ambizioso, che in questi anni ha saputo instradare la comunità verso un futuro che allora sembrava visionario, e che oggi offre ampie garanzie di sviluppo equilibrato garantito dalla salubrità di una campagna che è stata salvata (almeno entro certi limiti) dall’avvelenamento.

Ora il paese deciderà se considera concluso questo processo di crescita saggia, equilibrata e sostenibile, oppure se vuole continuare a recitare un ruolo da protagonista nella lenta costruzione di un modello alternativo a quello predatorio e irresponsabile che ha distrutto interi territori, privando i nostri nipoti della possibilità che ho avuto io, fortunato ad essere nato appena in tempo per fare un bagno al Fratta.

Anadi Mishra