Adesso invece (giornata dannatamente lunga) voglio fermare questo dannato tarlo della ricerca.
La ricerca anima l’uomo. La ricerca è il soffio vitale di ogni civiltà. La ricerca è arte e scienza, temporale e spirituale, mistica e politica, religione e laicità.
La ricerca fa bene alla collettività. Tutto chiaro. Fin troppo. Il fatto è che al SINGOLO la ricerca fa male.
Attenzione a non confondere i frutti della ricerca con il suo tormentato divenire. La ricerca è sofferenza, superata (e qui sta la grandezza) grazie ad una fermezza fuori norma, necessaria per sostenerne lo sforzo.
Il punto critico del ragionamento è questo: nella società occidentale, sempre più omologata al modello statunitense, il sacrificio del singolo non ha quel peso etico ricoperto ad altre latitudini. Il modello capitalistico a base individuale si basa su una certa tipologia di individuo-consumatore, il quale tende – ed è portato a tendere dal sistema sociale – all’egoismo. E’ una penetrazione piuttosto profonda, ramificata anche nei tessuti sociali più primordiali, come la famiglia; colpisce – in molti casi – anche chi se ne crede immune.
Allora, calato nella realtà contestualizzata al qui e adesso il senso della ricerca appare profondamente cambiato. Il senso della rinuncia non ha quel sostegno sociale necessario per poter vedere – nei limitati orizzonti garantiti dall’eccesivo inurbamento – la convenienza del gesto. Quindi, oggi più di ieri, cercare è difficile e tortuoso. Bisogna tenere il punto con ostinazione. Riuscire a ragionare fuori sincrono con il  tempo che viviamo.