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L’Estetica del lavoro è lo spettacolo della merce umana (D. Stratos)

Ecco un pensiero che devo lasciare per iscritto, poiché è denso e meriterà di essere ripreso, da qualche parte, in qualche tempo. Per farci cosa, ancora non lo so.

Come molti possessori di cane, sono rimasto incollato, ieri, alla puntata di SuperQuark inerente gli animali domestici; questo nonostante la contemporanea finale di Champions League tra Atletico e Real. Peddìtte.
In un momento molto particolare della mia vita, in cui spesso riecheggiano parole offensive del mio vecchio professore di lettere del liceo all’indirizzo della mia classe (“Nessuno di voi avrà problemi con la legge, fatto salvo qualcuno di evasione fiscale”), il mio cervello lavora – spesso dopato – su interpretazioni alternative del sensibile.

In parole più povere, tendo a voler vedere un fine nascosto al di sopra delle normali cose della vita. Non è proprio complottismo, io lo odio il complottismo, più che altro è il voler prendere cognizione della propria vulnerabilità.

l’input
La domanda che Alberto-NeriMarcoré-Angela pone è:

Come ha fatto il lupo a diventare cane?

Che significa:

In che modo un animale dalle caratteristiche selvatiche, ombrose e imprevedibili è potuto diventare il miglior amico dell’uomo?

Il ragionamento è facile, televisivo: il lupo nasce con la caratteristica – fondamentale – di socialità. È un animale che vive in branco, che condivide spazi e funzioni con altri individui. Quello che i nostri antenati preistorici hanno fatto non è stato altro che selezionare i lupi più affabili, o meno timorosi (quelli che si sono avvicinati all’uomo), facendoli accoppiare tra loro e arrivando a mutarne il portato genetico nel corso del tempo.
L’elaborazione
Quindi si può dire che, nel caso del lupo, un’intelligenza dominante (l’umana) abbia fatto sì da adattare alcune delle caratteristiche dell’animale utili a sé, sopprimendone altre, viceversa pericolose. Il mezzo di questa trasformazione è ciò che mi ha levato il sonno per qualche giorno: la concessione del diritto alla riproduzione.
Cioè a dire: “caro lupo, me serve un cane. Se stai buono, ti adatti alle mie esigenze, soffocando il tuo istinto che ho deciso essere sbagliato in base al mio punto di vista, mi aiuti a cacciare, a guardare le bestie o a fare compagnia a mia moglie mentre si fa i capelli, avrai una discendenza, che sarà sempre più adatta ai miei scopi. In caso contrario, ti lascerò in gabbia, senza la possibilità di una discendenza, perché – eugeneticamente – non ho bisogno della sopravvivenza di alcuni dei tuoi istinti che detto tra noi mi stanno anche un po’ sul cazzo”.
l’amara conclusione
Credo che questo rapporto di forze tra uomo e lupo possa essere considerato come allegorico di quello che insiste tra Capitale (la struttura di Marx) e genere umano. Ho realizzato – grazie alla sinergia tra Rai Uno e il mio spacciatore – quanto la condizione umana sia fluttuante nel mare del mercato, e quante scelte che operiamo siano in realtà frutto di un condizionamento volto al bene non nostro, ma del mercato.
Vivo un momento di grande instabilità emotiva. La mia centratura umana non trova equilibrio nella società, poiché rifiuto alcuni degli incasellamenti che vengono imposti da questo tipo di capitalismo estremo. Rifiuto l’identità tra essere e fare, o quella tra essere ed avere ( ancora peggio). Questa postura intellettuale, però, mi causa qualche problema: da un lato, subisco le pressioni del mondo che mi circonda, a tratti convincendomi anch’io dell’impossibilità di creare una discendenza senza aver prima sacrificato a questo sistema il mio essere lupo. Dall’altro lato, penso che se dovessi morire, privandomi di una discendenza, o dovessi averla accettando queste condizioni acriticamente, avrei mancato la funzione primaria del mio scopo su questa terra. Arrivo a superare Gramsci, e affermo che il ruolo dell’intellettuale va oltre il monitoraggio della società: deve arrivare a perpetuare un certo tipo di sguardo su di essa mediante l’educazione alla resistenza e un’acculturazione alternativa. La via più facile? Figli educati ad ascoltare e rispettare il lupo che è in noi.
Tutto sta a far capire alla donna che ami e che vedresti come unica madre possibile di figli tuoi, che è meglio mettere al mondo dei lupacchiotti piuttosto che delle pecore, e che la demarcazione tra di essi non è segnata dalla capacità economica, ma da quella educativa.

Credetemi, è davvero complicato, ma lo devo al mio professore di Lettere del liceo: la sufficienza con cui mi ha liquidato come “borghesotto” urla, a tutt’oggi, vendetta. E le colpe dei padri dovrebbero essere riscattate dai figli. Dice.