Tarvisio, Domenica di Pasqua.

Mi becco una resurrezione da un sonno profondo e ristoratore in un letto di design. Intorno a me, un open space arredato con gusto. Una voce femminile e familiare mi chiede – tra sonno e veglia – cosa io voglia per colazione. Se qualcuno mi dice dove devo firmare per svegliarmi tutti i giorni così, sappia che posso usare anche il mio sangue, qualora richiesto.

Chicca, è la voce di Chicca.

Gallette di riso con sale, pepe, limone e avocado. E un caffè. La colazione più adatta ad un posto del genere: mi pare di essere in un video di Jane Fonda. Fuori il tempo è uggioso. Sarà così per lungo tempo, anche una volta arrivato a casa. Una volta fatta colazione, Chicca porta fuori er Merdàro, lasciandomi tempo e spazio per farmi una doccia. Mi preparo con calma, faccio qualche telefonata rassicuratrice a familiari e amici (sì, anche a Moneti), faccio una rapida raccolta delle mie cose (grazie a Dio Chicca ha il garage, per cui le borse sono rimaste attaccate a Garuda, uno scazzo importante in meno) e comincio a vestirmi, proprio mentre la padrona di casa e il quadrupede tornano dalla passeggiata. È quasi l’ora di pranzo, lei è attesa per il desco familiare di Pasqua, quindi ci si accomiata con rapidità, ma prima mi disegna una mappa per arrivare in Austria con il tragitto più conveniente, e mi dà una bustina con dentro alcuni ravioletti al forno con un mix di formaggi, tipici del luogo. Seguo la strada che mi ha suggerito per prendere l’Autostrada per l’Austria, ma mi perdo dopo il secondo bivio e mi arrangio con i cartelli. Subito dopo la frontiera, faccio benzina, prendo la vignetta per le autostrade Austriache e imbocco l’A2 per Vienna/Villach. Strada monotona, caratterizzata da limiti di velocità abbastanza bassi osservati da tutti, ma con un panorama montuoso fantastico. Il cielo è coperto, e ogni tanto qualche apertura illumina i monti di una luce che sembra artificiale a causa delle nuvole basse. Tira un vento infame. Dopo nemmeno due ore sono completamente rincoglionito, e vorrei dormire per sei ore. Dopo Villach mi fermo, esausto, in un autogrill, e faccio benzina. Scopro con sconcerto che:

  1. nel mio conto italiano non c’è più un euro;
  2. ho finito gli spicci, e mi scappa una pipì da 50 centesimi.

Prendo la mia carta di credito ceca, e la do alla cassiera per pagare. Non viene presa.

Sudori freddi, attacco di diarrea nervosa, manie di persecuzione, miraggi.

Al terzo tentativo, si decide di cambiare POS, e lì, Grazie a Dio, la carta va. Panico scampato. Compro anche un ingresso alla Toilette (con la carta di credito), e ne faccio un utilizzo completissimo, non tanto per necessità quanto per principio. Mi ristoro coi ravioletti di Chicca (mi basteranno per tutto il viaggio, bella legnata di calorie) e mi fermo per un’oretta. Non mi allontano mai dalla moto, ma mi rilasso, faccio stretching e mi riposo per un po’, riparato dal vento.

Riparto, e continuo a prendere gianna. Arrivo a Vienna, e mentre mi infilo nel dedalo di tangenziali e snodi autostradali per dirigermi verso Brno, comincia a piovere. Io ho già indossato il mio costosissimo “Diluvio”, il kit antipioggia, e le gomme sono nuove. Sono stagno, e la pioggia mi piace molto. Mi seguirà fino al confine con la Repubblica Ceca. Ecco, qui è d’uopo una piccola, stupida digressione:

Quando comincio a vedere le scritte in ceco, le indicazioni dei prezzi in Korunas, quando sul mio cellulare appare la scritta LTE, mi sembra di essere tornato a casa. È una sensazione molto strana, e piuttosto bella. Trovo un LIDL aperto in un posto di cui non mi preoccupo nemmeno di conoscere il nome, per quanto sono stanco. Mi fermo e compro qualcosa da spizzicare, visto che non ricordo cosa ho da mangiare a casa, e che è Pasqua, quindi a Brno sarà tutto chiuso. Telefono a casa per dire che sono arrivato (anche qui, interessante: avrei mai chiamato mia madre dal Brennero per dire che sono arrivato a casa?) e mi rimetto in moto. Fa freddo: accendo le mie manopoline riscaldate e mi godo il percorso di questa statale in mezzo alla taiga che mi piace molto. Il sole è basso, la campagna è verde. La benzina poco costosa e la strada ben disegnata. Entro a Brno dal lato Sud. Non ho mai visto prima questo ingresso alla città, ma poco a poco comincio ad avvertire la familiarità del luogo. Guardo le guglie della cattedrale in lontananza, la ciminiera che mi guarda mentre faccio il tapis roulant in palestra, i vari capannoni da centro commerciale. Poi il fiume. Poi la pioggia, di nuovo. Infine, casetta.

landed!

È stato un bel viaggio, necessario e importante. Un’esperienza attraverso cui vedere le cose in un modo diverso, con una centratura, al limite dell’egoismo, che ancora non so dove mi porterà. Mi sento più solo, ma ho scoperto di avere un appoggio enorme da parte della mia famiglia, e – credetemi – quando si danno per scontate certe cose si finisce per depauperarle della loro carica. Ho ritrovato un amico, con il quale avevo rotto i ponti anni fa, e il fratello, confusamente illuminato, ma a suo modo illuminato. Garuda è tornata con me, non ho una macchina qui, ma ne sono contento. Ho la moto e la tessera annuale dei mezzi. ‘Na roba mica da ridere.

Qualche tempo fa, preparai una piccola presentazione per gli studenti d’italiano nella locale università. Era sul libro di Jhumpa Lahiri “In Altre Parole”, un libro scritto in italiano da una scrittrice indo-anglian trasferita e sposata negli Stati Uniti. Il senso del mio intervento era quello di costruire una metafora tra “Casa” e “Lingua”. La lingua è spesso considerata come “casa”: la lingua materna, il codice degli istinti più primari. Ecco, ora dovrei rimettere mano a quello che ho scritto, perché il viaggio mi ha insegnato che il concetto di  “casa” non è limitabile alla sola lingua, ma è dato anche dalla sicurezza e serenità che essa infonde. “Casa” è familiarità, calore e sicurezza. Anche la lingua lo è, ma non si tratta di identità, bensì di similitudine.

Di certo, quello che c’era prima nella mia vita ora non c’è più. Quello che ho davanti, invece, è tutto da conquistare. A partire dalle strade e dalla lingua della Repubblica Ceca. Che non è casa mia, ma cominciamo ad avvicinarci.

Avanti.