ImageSe qualcuno mi dovesse chiedere per chi tifo a Roma-Juve, risponderei che tifo per il campo di gioco che si apre e inghiotte campo e stadio, con tutti i giocatori e tutte le gradinate (che spero colme di spettatori). Adoro il politicamente scorretto insieme al gusto della battuta nera.

A tutta prima, prima del confronto di ieri tra Renzie e Grullo avrei dato la stessa risposta; poi, però, ho dovuto fare marcia indietro, perché il calcio è una cosa e la vita è un’altra. E ieri ho assistito ad uno spettacolo degradante, inquietante. Un bambino delle elementari che zittisce – tappandosi le orecchie, chiudendo gli occhi e urlando per non sentire – un secchione che vuole avere l’ultima parola. Uno spettacolo deprimente, accentuato dal fatto che la successiva conferenza stampa ha proseguito a marcare le distanze tra due schieramenti che rappresentano più o meno i due terzi ancora politicamente attivi del paese. Un quadro da guerra civile; molti credono che una palingenesi sia una fase necessaria ad una redistribuzione delle risorse. Io invece la temo a causa di alcuni precedenti storici che – se ovviamente non possono ricalcare la situazione attuale – sono degli indicatori di qualcosa che a mio giudizio è molto pericoloso: le meccaniche istituzionali italiane sono rigide, e tanti, troppi, hanno approfittato di questo, dimenticando che la rigidità è stata pensata dal costituente per prevenire un certo tipo di libertà di manovra del potere che da noi ha portato ad una dittatura che si è protratta per vent’anni e ci ha regalato la partecipazione ad una guerra di cui paghiamo a tutt’oggi le conseguenze. Quello che intendo dire, amico grillino, è che  confondere l’istituzione con la sua mala applicazione  porta al rischio di gettare il bambino con l’acqua sporca. 

Per questo scuoto la testa di fronte a spettacoli come quello di ieri. Perché lo Stadio è una cosa, il pensiero politico un’altra. Senza confronto, la strada è solo autocratica. E a me l’autocrazia non piace, di qualsiasi colore essa sia.