Quando il cane mi viene strappato dalle coperte – Giulia deve andare alle Isole Veneziane con dei parenti, e porterà anche Liz – ho un momento di marasma. Non so che ore siano, difficile dirlo con questo tempo. Il cielo è viola, diluvia, e mentre i muscoli vengono chiamati a raccolta, corroborati dall’assunzione di un buon caffè, comincio a domandarmi quale dovrà essere il mio piano di viaggio. Da Padova a Tarvisio non sono molti chilometri, ed è ancora mattina. Accarezzo per un attimo l’idea di andare a trovare mio papà (è sepolto a S. Michele, non ci vado mai, e sono a pochi km), ma desisto. Troppa pioggia, Chicca preme e (conoscendomi da decenni) mi comincia a tartassare sin dalla mattina, per far sì che io arrivi per l’ora dell’aperitivo. Quindi, al massimo alle tre dovrò partire da Padova. Giusto il tempo di impallare il computer di Paolo, cosa che movimenterà le nostre serate della settimana successiva (con vari tentativi da remoto di ripristinare la faccenda).Verso le 14:30 spiove, e decido di ricaricare Garuda con le borse e partire. Saluto Paolo, spero di vederlo presto – ma in realtà la frequenza con cui noi due ci si vede è sempre relativa. Di fatto, quando accade, sembra sempre che ci si sia lasciati da appena qualche giorno.

La strada per Tarvisio è semplice e noiosa: Autostrada direzione Trieste, Piega per Udine, infine la montagna, le curve e la frontiera. Ad un autogrill mi fermo a parlare con un motociclista sardo, in viaggio verso Lubjana (lui non sa perché). caffè, chiacchiere e benzina, dopodiche saluti e ripartenza. Becco un muro d’acqua impressionante sulla Palmanova-Tarvisio che mi rallenta non poco, per cui sarò costretto a fare l’autostrada per intero, onde rimanere nei tempi. Infine, eccomi a Tarvisio.

Il paese è cambiato, ma la sua struttura non lo è. Nel bar sul corso mi faccio due Sprizz che mi mandano fuori di testa, ma grazie al cielo, anche Chicca mi fa buona compagnia. Il risultato è che barcolliamo verso una pizzeria, dove ci cibiamo e cerchiamo di aggiornarci su ciò che è avvenuto negli ultimi ventidue anni. ‘Na cosetta.

Mi raconta di lei (cazzi suoi che ovviamente non sono argomento di discussione pubblica), e delle sue aspettative. Mi piace parlare con lei, mi sembra di specchiarmi: Cristina è intelligente, ha un vissuto importante, ma è anche lei rosa da quella mancanza di centratura che tra la nostra generazione ha fatto *tanta* carne di porco. Ma nel suo entusiasmo disperato io mi rivedo, con bonomìa, e capisco che c’è ancora tanto da fare in questo mondo, e che toccherà farlo in larga parte a noi, persone malate di sensibilità.

La casa di Chicca è un capolavoro che pare uscito da una rivista di arredamento. Talmente bella che mi pare ingombrante: il pensiero che mi viene è quello di Tyler Durden: “Le cose che possediamo, finiscono per possederci”? Rifletterò su questa cosa, il giorno dopo. Avrò settecento Km per rifletterci. Di certo, lei possiede un Bimby, e io no, e manco me lo vuole vendere! 😀

Infine c’è Er Merdàro, il bellissimo cane (all’anagrafe Baldo, così amorevolmente soprannominato da Romanazzo), che purtroppo ha un occhio che gli dà fastidio. Sotto Pasqua. Quindi, quel briciolo di apprensione, che non guasta mai, ci coglie anche stavolta. Ma soprattutto, c’è un letto. E io sono nell’ordine: stanco dal viaggio, ubriaco, rincoglionito da una pizza che dentro aveva anche i sette nani e imparanoiato dalla tirata lunga che mi aspetta il giorno seguente: i settecento chilometri che rimangono tra me e la meta, incarnati in tutta l’Austria e un bel pezzo di Repubblica Ceca. Ancora autostrada. Sarà meglio andare a dormire. Grazie Chicca. Ti voglio bene.